Come ogni settore economico anche quello dell’informatica è stato attratto dalle allettanti prospettive di guadagno ottenibili tramite i mercati finanziari. E come ogni settore economico in cui entrano in gioco gli speculatori anche l’informatica ha dovuto affrontare le sue pesanti crisi, la più importante delle quali è quella avvenuta a cavallo degli anni 2000 e 2001 che ha preso il nome di “Bolla delle Dot-Com”.
Cos’è una “bolla speculativa”?
Ricordate quando eravate bambini e avevate tra le mani un palloncino sgonfio? Ecco, sicuramente la prima cosa che avrete fatto sarà stata di soffiarci dentro per gonfiarlo. Dopo le prime pesanti boccate d’aria, il palloncino avrà iniziato a prendere vita e ad allargarsi sempre di più. A questo punto, presi dall’entusiasmo, avrete continuato a soffiare e soffiare nella speranza di ottenere un palloncino sempre più grande da mostrare con orgoglio a familiari e amici. Purtroppo, spesso, non riuscendo a capire per tempo il punto limite oltre il quale non era più possibile immettervi aria, il nostro passatempo sarà inevitabilmente esploso, lasciandoci in mano un inutile pezzo di gomma.
Ecco, l’esempio del palloncino non si discosta molto da ciò che avviene quando “esplode” una bolla specualtiva. Questa si verifica quando ingenti flussi di denaro vengono dirottati su azioni emesse da aziende che valgono in termini di economia reale molto meno di quanto gli investitori sono disposti a spendere e dopo che passa un periodo più o meno lungo di “euforia” e i più grossi investitori decidono di monetizzare le azioni in loro possesso, ecco che “il palloncino esplode”: la reale capacità economica della società quotata non è in grado di sostenere l’eccesso di vendite di azioni e la loro conseguente svalutazione e questo porta quasi inevitabilmente al fallimento della stessa.
Il “palloncino tecnologico” inizia a gonfiarsi.
Alla fine degli anni ’90 il mondo dell’informatica era in fermento. Dopo tre decadi di sviluppi e migliorie tecnologiche accompagnate da un sempre maggior interesse delle masse alle nuove possibilità che i computer permettevano di ottenere, alla fine del vecchio millennio si manifesta infine il fenomeno internet (esattamente dal 1994 in poi, anno in cui viene lanciato Netscape il primo browser commerciale per internet) che, velocemente ed inesorabilmente, entra prima in tutte le nostre case e poi in tutti i settori della vita pubblica. Nasce quindi la cosiddetta New Economy.
Proprio in questa fase, l’entusiasmo generato dalla richiesta dei mercati di tecnologie sempre migliori ed affidabili da sviluppare nel minor tempo possibile favorisce la nascita di una miriade di società impegnate nei più svaritati campi dell’informatica – dall’industria videoludica alla domotica, dalle comunicazioni alla gestione di dati – sulle quali l’attenzione e la speranza di successo (economico prima che tecnologico) sono enormi così come è enorme la volontà degli investitori di scommettere in esse.
Rapidamente queste aziende vengono letteralmente inondate di capitali e, sull’onda dell’entusiasmo, le società attive nel settore (che verranno soprannominate “dot-com”) si moltiplicano, animate da un unico comune denominatore: espandersi il più velocemente possibile a costo di offrire i propri servizi anche gratis (senza quindi monetizzare gli investimenti fatti e lo know-how raggiunto).
Come spesso avviene da quando esistono i mercati finanziari, non tutti sono attenti a razionalizzare i loro investimenti e guadagni e in pochi riescono a capire il momento. Tra queste avvedute “mosche bianche” spiccano i nomi di quelle che oggi sono quattro tra le più grandi società del settore: Google, Apple, eBay e Amazon. Le prime due cercarono di investire il più possibile gli introiti ricavati dal mercato azionario investendo in tecnologia le altre, invece, si concentrarono nell’allargare il più possibile la base della loro clientela (quella reale fatta dai compratori di beni, più che quella dei compratori di azioni) spendendo ingenti somme in marketing e nello sviluppo del sistema di politica dei prezzi aggressiva, transazione veloce e customer care per cui sono tuttora note.
La stragrande maggioranza delle società, però, non si concentrò troppo nella programmazione delle attività, interessandosi sostanzialmente nella sola capitalizzazione delle azioni.
Il “palloncino” esplode.
A marzo del 2000 avviene la svolta. Quando molte aziende afferenti alla New Economy pubblicarono i loro bilanci annuali, dopo anni di corsa sfrenata, si scopre che il comparto informatico è inaspettatamente in netto rallentamento, sintomo sia del fatto che la vendita di quei prodotti iniziava una fase di stagnazione sia del fatto che sul mercato c’erano sempre meno investitori disposti a immettere capitali per acquistare azioni arrivate ad avere un prezzo troppo elevato.
Il panico fu la logica conseguenza delle prime crepe nel sistema: rapidamente gli investitori inziarono a vendere le azioni in loro possesso che si deprezzarono all’istante, l’indice Nasdaq (l’indice borsistico americano che racchiude i titoli relativi alla New Economy) perse in tre giorni il 9%. Ma queste furono solo le prime avvisaglie, infatti dopo soli quattro anni, nel 2004, il 50% delle società quotate in borsa nel 2000 erano fallite, le altre invece continuavano la loro attività ma con quotazioni azionarie centinaia di volte inferiori a quelle avute negli anni delle “vacche grasse”.
Molti speculatori che avevano intuito che il momento dell’esplosione della bolla era ormai prossimo, vendettero le loro azioni in prossimità dell’inizio della crisi, dandole di fatto il via e guadagnando fiumi di denaro che, di contro, uscirono dalle disponibilità delle aziende che furono costrette a chiudere i battenti.
Considerazioni sull’evento.
Innanzitutto nel “gonfiarsi” e nel tragico “esplodere” della bolla si è palesato l’atteggiamento del cosiddetto herding behaviour, il “comportamento imitativo” che si studia in sociologia, tramite il quale gli individui che compongono la massa – un po’ come gli uccelli di uno stormo di rondini in volo – tende a prendere la stessa decisione quando ci sono prospettive euforiche o di pericolo: quando le azioni aumentavano di valore gli investitori compravano, favorendo la salita del valore delle stesse (e allo stesso tempo le società quotate non correggevano gli errori che erano alla base del sistema poichè ingolosite dai guadagni) ma, quando le quotazioni hanno mostrato il primo segnale di cedimento ecco che repentinamente è iniziata la corsa alla vendita e alla svalutazione delle azioni.
Un’altra considerazione che merita una sottolineatura è relativa alle aziende che hanno saputo meglio “leggere i tempi” e sfruttare gli anni di arricchimento per investire: Amazon, ad esempio, vide le sue azioni passare da un valore di 107 dollari a soli 7 ma, nell’arco di pochi mesi, le quotazioni delle sue azioni sono risalite fino a toccare l’esorbitante cifra di 950 dollari per azione. Perchè è successo questo? semplice: gli investimenti attuati negli anni in cui si stava “gonfiando la bolla” sono serviti a creare un’azienda solida, credibile e leader di mercato subito dopo l’esplosione della stessa. Seppure Amazon abbia perso in valore azionario in concomitanza con la crisi, avendo alle spalle una società forte, con alla base idee serie, concrete e realizzabili ed essendo pienamente immersa nell’economia reale, è riuscita a superare i momenti bui e ad uscirne più forte di prima. Stessa cosa dicasi per Google che grazie agli investimenti in tecnologia è diventata l’azienda che monopolizza le ricerche su internet, così come per eBay (per motivi analoghi ad Amazon) e Apple che grazie ai suoi dispositivi (iPhone, iPad, iPod, ecc.) è stata capace di portare la New Economy su un nuovo livello.
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