Speculare con i futures: Eddie Murphy ci insegna come!

Il mondo della finanza è pieno di insidie, trabocchetti e sotterfugi degni di un romanzo fantasy e solo i più esperti e spregiudicati operatori di borsa riescono a padroneggiarli tutti e ad adattarli alle situazioni che vanno via via verificandosi durante le contrattazioni. In fondo non è un caso se quello della borsa ha la nomea di essere un mondo popolato da squali. Una delle forme di speculazione più redditizie è quella relativa ai futures e per spiegarlo prenderemo ad esempio l’ultima scena del famosissimo film  “Una Poltrona Per Due” in cui i due protagonisti – interpretati da Eddie Murphy e Dan Aykroyd – diventano ricchi grazie a tale spericolata manovra finanziaria.

La finanza non è un gioco per tutti.

Se per diventare ricchi grazie alla finanza bastasse una laurea in economia, probabilmente in Italia ci sarebbe un milionario in ogni famiglia e i McDonald’s non saprebbero più come reperire personale (questa, ovviamente, non è una critica ai laureati che per sopravvivere accettano qualsiasi lavoro, ma al sistema che non ha voluto/saputo tutelare il loro percorso di studi).

Purtroppo, nella realtà dei fatti, per emergere nel mondo delle borse e della finanza, oltre ad una profonda conoscenza dell’ambiente e delle materie economiche, servono altre doti che nessuno insegna a scuola, quali il cinismo e la spregiudicatezza, che è più facile apprendere nella vita “da strada” che nelle aule universitarie: senza queste doti – che non devono per forza essere caratteriali, ma sicuramente insite nell’approccio al lavoro – difficilmente un operatore potrà lanciarsi in ardite manovre speculative tramite le quali si può finire in bancarotta o diventare ricchissimi.

Speculare sui futures.

Uno dei casi più spericolati di speculazione è quella relativa ai futures, argomento trattato magistralmente nel film commedia del 1983 “Una Poltorna per Due“, interpretata da Eddie Murphy e Dan Aykroyd.

Spieghiamo rapidamente cosa sono i futures: con questo termine si intendono dei contratti tramite i quali due soggetti – un venditore e un compratore – si accordano nella compravendita di un bene con pagamento in una futura data prestabilita ad un prezzo, a sua volta, prestabilito. A tale tipo di contrattazione soggiace un’alea dovuta al fatto che, non essendo possibile conoscere in anticipo il valore certo di quel bene in quella data futura, compratore e venditore devono cercare di strappare alla controparte il miglior prezzo ipotizzabile al momento della stipula del contratto.

Esempio: Mario e Gino stipulano il 7 novembre un contratto (future) con cui il primo si impegna a pagare al secondo, il 3 marzo seguente, le mele da questi prodotte al prezzo di un euro al chilo. Indipendentemente da quale sarà il valore di mercato delle mele alla data pattuita, Mario dovrà quindi pagare tassativamente 1 euro per ogni chilo di frutta che Gino gli fornirà. Se il valore effettivo di mercato delle mele al 3 marzo sarà di 80 centesimi, Mario avrà quindi perso 20 centesimi del suo investimento per ogni chilo di mele acquistato, Gino, al contrario, li avrà guadagnati. Se, invece, il valore delle mele dovesse essere di 1,20 euro, sarà Mario ad aver guadagnato 20 centesimi al chilo e Gino li avrà persi.

I contratti futures come quello riportato nell’esempio sono sostanzialmente procedure all’ordine del giorno e perfettamente legali. Ma, grazie al film che tutti noi abbiamo visto decine di volte nei giorni delle feste di natale, possiamo vedere come si può speculare con essi.

Senza andare nei dettagli della trama del film, a noi basta soffermarci sugli ultimi 8 minuti dello stesso, quelli che si svolgono all’interno della borsa di New York. In queste scene, i due simpatici protagonisti, essendo venuti a conoscenza tramite un dossier riservato del fatto che la produzione di arance nella stagione successiva sarebbe stata in linea con le passate e che, conseguentemente, il prezzo degli agrumi non avrebbe avuto particolari scossoni rispetto a quello degli anni precedenti, per mettere fuori gioco i loro avversari – i fratelli Duke, abili e stimati investitori finanziari che però avevano cercato di rovinare le vite dei protagonisti con una scommessa alle loro spalle – fanno loro recapitare un falso dossier ministeriale in cui viene anticipato che il raccolto delle arance sarà invece bassissimo a causa del rigido inverno.

Per la logica della domanda e dell’offerta, se la richiesta di un bene sale, minore sarà la sua disponibilità sul mercato e maggiore sarà il suo valore. Così, i fratelli Duke, convinti che la produzione di arance sarà bassa, danno mandato al loro agente di comprare futures sulle arance a qualunque costo, certi che l’investimento verrà ripagato dalla rivendita delle poche arance che verranno prodotte che, dalle informazioni mendaci in loro possesso, toccheranno cifre esorbitanti subito dopo la raccolta.

A questo punto, tutti gli operatori di borsa, vedendo che i fratelli Duke hanno iniziato la seduta comprando a spron battuto futures sulle arance, facendone lievitare il prezzo, hanno deciso di seguire l’esempio dei prestigiosi colleghi acquistando a loro volta. I due personaggi interpretati da Murphy e Aykroyd, invece, sono rimasti in attesa, ad osservare la quotazione delle arance salire vertiginosamente sui tabelloni.

Ad un certo punto Aykroyd grida “Vendo 200 aprile a 1,42!” che, “tradotto”, significa: vendo 200 futures con pagamento ad aprile a 1,42 dollari per ogni libbra di arance. Gli altri operatori, convinti che il prezzo di vendita promesso da Aykroyd fosse molto basso e quindi vantaggioso, iniziarono a comprare i suoi futures e, di conseguenza, il prezzo delle arance iniziò a calare. A metà seduta, come previsto, il segretario del dipartimento agricoltura americana, lesse in diretta TV la stima della produzione di arance per l’anno a venire che, come i due protagonisti sapevano già, sarebbe rimasto pressocchè invariato rispetto al solito, mantenendo così gli agrumi ad un prezzo relativamente basso. Tale annuncio scatena un’ondata di vendite da parte degli investitori che fanno ulteriormente precipitare il prezzo delle arance e, a quel punto, Aykroyd e Murphy, cominciano a comprare futures al prezzo irrisorio di 29 centesimi per libbra.

La strategia dei due protagonisti è stata semplice: da una parte piazzare 200 futures di vendita per il prossimo aprile ad un buon prezzo (1,49 dollari per libbra), dall’altra fare incetta di ottimi futures di acquisto, nello stesso mese, a prezzo bassissimo, 29 centesimi per libbra.

Quanto hanno guadagnato Murphy e Aykroyd con la loro speculazione?

Poniamo che il prezzo di mercato delle arance nel fatidico mese di aprile dell’anno in cui è stato ambientato il film è arrivato ad un dollaro per libbra da ciò consegue che i protagonisti del film, dai loro 200 futures di vendita piazzati a 1,49 dollari a libbra, andranno a guadagnare 49 centesimi per libbra venduta (nel film non è specificato ma, nella vita reale, ad ogni simile contratto futures piazzato corrisponderebbero diverse tonnellate di arance). Allo stesso tempo però i due si sono accaparrati un ingente quantitativo di futures di acquisto all’irrisorio prezzo di 29 centesimi per libbra che garantisce loro un risparmio netto di 71 centesimi per libbra acquistata. Se quindi moltiplichiamo questi enormi margini – di guadagno da una parte e di risparmio dall’altra – per le tonnellate di arance scambiate ne verrà fuori un ricavo enorme.

Foto di Mediamodifier da Pixabay

Dall’altro lato, invece,  i fratelli Duke – gli antagonisti – avendo dato mandato al loro agente di comprare a qualsiasi costo, impegnando il loro intero capitale, si troveranno nella condizione di non poter mai pagare tutti i futures acquistati poichè non riuscirebbero mai ad ottenere un guadagno sufficiente, dato che il prezzo delle arance sarà relativamente basso.

Dov’è il reato?

Sembrerà strano, ma nel momento dell’uscita del film, nel 1983, quanto fatto da Aykroyd e Murphy nella finzione cinematografica, negli USA era pienamente legale. Oggi però, almeno in quasi tutti gli stati occidentali (USA inclusi), non sarebbe più possibile effettuare questo tipo di operazione perchè si compirebbe il reato di insider trading che, in Italia, prende il nome di abuso di informazioni privilegiate. I personaggi interpretati da Murphy e Aykroyd, infatti, riescono ad attuare la loro strategia perchè erano venuti a conoscenza di un dossier riservato che, come tale, non avrebbe dovuto essere divulgato a nessuno proprio per evitare le speculazioni fiananziarie.

Questo illecito si compie quindi quando un soggetto, venendo a conoscenza di informazioni riservate, le usa per favorire i suoi interessi.

Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

In Italia tale abuso è disciplinato dal Decreto Legislativo n°58 del 1998 mentre, negli USA, bisognerà attendere solo il 2010 perchè vengano emanati provvedimenti legislativi analoghi e, proprio in quell’occasione, il Presidente dell’autorità americana che monitora l’andamento dei futures, richiamandosi al film di cui abbiamo abbondantemente parlato, ha scherzosamente denominato le nuove normative Eddie Murphy Rules, nome con il quale vengono ancora oggi abitualmente chiamate.

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Che cos’è il Recovery Fund?

Come ben sappiamo, con lo scatenarsi della pandemia di Covid-19, quasi tutti i governi del mondo, soprattutto nella primavera dello scorso anno, hanno tentato di arginare i contagi chiudendo il maggior numero possibile di attività onde evitare i movimenti della popolazione e il conseguente propagarsi del virus. Questa chiusura forzata ha causato una crisi economica senza precedenti cui l’Europa, dopo estenuanti trattative, ha risposto varando l’ormai famoso Recovery Fund.

Come tutto ebbe inizio.

Dall’industria meccanica al turismo, dall’agricoltura alla ristorazione, quando alla fine dell’inverno del 2020 il Covid-19 si è prepotentemente abbattuto sull’Europa e sul resto del mondo, ad esclusione di limitatissimi tipi di industrie (produttori di mascherine, di guanti in lattice, gel disinfettante e poco altro) non c’è stato settore che non abbia subito pesantissime perdite economiche.

I primi provvedimenti applicati da più o meno tutti i governi Europei si sono concentrati sul rafforzamento temporaneo degli ammortizzatori sociali (blocco dei licenziamenti e ristori a pioggia seppur di importo contenuto), prestiti agevolati garantiti dallo stato, attivazione di un massiccio programma di lavoro da casa, rinvio o sospensione del pagamento di alcuni tipi di tasse, rateizzazione e dilazione dei debiti con l’erario e altre misure simili.

Ben presto, però, ci si è accorti che tutto questo non sarebbe bastato: oltre tre mesi di blocco totale delle attività produttive (cosa che si è infatti evitata nelle seguenti ondate della pandemia in molti settori dell’economia) con l’azzeramento degli ordinativi, così come la chiusura prolungata della ristorazione e di tutte le attività turistiche hanno causato danni all’economia affrontabili solo con un massicico ricorso alla vendita di titoli di stato – e quindi debito pubblico – di cui gli speculatori avrebbero fatto incetta, condannando molte nazioni, Italia in testa, al baratro e al fallimento definitivo.

In questa occasione però, l’Europa – nonostante l’ostruzionismo di alcuni politici populisti con simpatie per la destra estrema, con a capo il Primo Ministro olandese Rutte – per una volta, è riuscita a partorire un piano realmente ambizioso con prospettive concrete, il così detto Recovery Fund (fondo di recupero), progetto certamente non scevro di punti critici, ma che, se ben realizzato, può sicuramente rappresentare una svolta per l’economia del futuro nel Vecchio Continente.

Com’è strutturato il Recovery Fund.

Approvato nel luglio del 2020, dopo mesi di febbrili trattative, frenate dalle resistenze di nazioni sedicenti “frugali” (con in testa sempre l’Olanda, animate – più che dagli ovvi e per tanti versi giusificabili pregiudizi – dal desiderio di annientare economicamente le nazioni più fragili della stesa UE per sfruttare a proprio vantaggio la situazione), superate solo grazie alla rigida presa di posizione della leader tedesca Angela Merkel, l’UE ha finalmente approvato il meccanismo del Recovery Fund che garantirà finanziamenti alle nazioni colpite dalla crise tramite l’emissioni di bond europei garantiti dal bilancio della UE.

Foto di MasterTux da Pixabay

Il colossale piano economico diviso in dieci programmi, prevede, a regime, la distribuzione di ben 1.800 miliardi di euro – reperiti sul mercato obbligazionale – ai vari stati facenti parti dell’Unione proporzionalmente alle perdite avute durante la pandemia. La fetta più grossa della torta spetterà all’Italia cui saranno destinati circa 210 miliardi di euro.

Per ottenere i soldi, alle nazioni è chiesto di presentare alla Commissione un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nel quale specificare modi e tempi in cui utilizzare le risorse che, a loro volta, dopo un anticipo iniziale, verranno erogate in successive tranches solo e soltanto se la tabella di marcia dei vari progetti verrà rispettata. Una volta che la Commissione Europea avrà analizzato ed approvato i piani – che dovranno avere alla base riforme atte ad ottenere una transizione verde, la digitalizzazione, la parità di genere, incentivare l’occupazione, lotta all’evasione ficale e una riforma del sistema economico-fiscale tale da rendere sostenibile ed equilibrato il debito pubblico delle varie nazioni – comincerà la fase di distribuzione dei fondi, prevista già dalla prossima estate.

Ovviamente, i soldi che l’Unione Europea distribuirà non saranno regali ma in parte saranno finanziamenti a fondo perduto e in parte saranno prestiti da restituire.

E noi che ci guadagniamo?

Posto che gran parte dei fondi che ci arriveranno dal Recovery Fund dovranno comunque essere restituiti e che l’attuazione del programma sarà sempre sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Europea (e meno male, aggiungiamo noi, data l’italica cronica incapacità a spendere soldi per il bene comune e destinarli ai soliti noti abili a raccogliere finanziamenti e poi delocalizzare lontano dall’Italia), alcuni politici (che dato il loro ruolo di oppositori non possono avere le mani in pasta) e tuttologi da social con laurea magna cum laude all’Università della Strada, obiettano che “debito per debito” sarebbe stato meglio agire da noi e reperire i fondi necessari tramite i nosti titoli di stato senza passare al vaglio della Commissione Europea sul modo in cui vogliamo spendere i soldi.

E’ vero, la stessa critica è stata mossa anche da alcuni (pochi) economisti di tutto rispetto e non solo da terrapiattisti e/o “neonazisti che gridano libertà“, ma credere di poter ottenere sul mercato obbligazionale prestiti a tassi più favorevoli di quelli che riuscirebbe a reperire la Comunità Europea sembra un’ipotesi al limite della fantascienza oltre che un azzardo che potrebbe costare caro in futuro.

Sì, perchè l’Italia – com’è noto a tutti coloro che sappiano leggere, scrivere e far di conto – è una delle nazioni al mondo con il più alto debito pubblico e, dato che questo è stato creato da qualcuno in qualche modo (le scelte politiche scellerate e ignominiose fatte da troppi governi succedutisi negli ultimi 40 anni e avallate da una popolazione che, colpevolmente complice, ha continuato a votare i soliti noti) forse sarebbe il caso che “qualcun altro”, possibilmente non italiano, sia lì in attesa, pronto a bacchettarci appena andremo ad accingerci a perpetrare i soliti errori (crimini) di gestione delle risorse economiche.

Se poi a qualcuno non piacciono i tipi di progetti che l’UE è disposta a finanziare (tutela dell’ambiente, tutela del lavoro, parità di genere, lotta all’evasione fiscale), beh, in questo caso non servono né lezioni di economia né master in scienze politiche, poichè l’unica cosa utile che dovrebbero fare questi soggetti – spesso politici di professione (e già la locuzione “politici di professione” in sé fa un po’ schifo) – sarebbe un attento ripasso dei libri di storia ed educazione civica, insegnamenti che, anni addietro, gli stessi hanno ben pensato di ridurre ad una comica.

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Cos’è lo Schema Ponzi, una truffa sempre attuale

Le truffe sono nate con l’uomo, e con lui spariranno dal mondo. Alcune hanno raggiunto gradi di sofisticazione tale che per smascherarle sono occorsi anni e chissà quante altre sono sopravvissute impunite alle vittime e agli ideatori stessi. Nel secolo scorso un particolare tipo di truffa ha fatto particolarmente parlare di sé per l’apparente semplicità con cui le ignare vittime abboccavano al tranello loro proposto, mascherato da lucrativo investimento. Stiamo parlando dello Schema Ponzi, un geniale metodo per estorcere soldi ad investitori ingannati di poter guadagnare consistenti interessi partendo da un’esigua somma iniziale.

Charles Ponzi

Charles Ponzi – all’anagrafe Carlo Pietro Giovanni Guglielmo Tebaldo Ponzi – era un migrato italiano negli Stati Uniti, con il vizio del furto e delle truffe. La sua indole truffaldina viene più volte scoperta, tant’è che tra il 1907 e il 1913 passerà ben cinque anni in prigione, 3 in Canada e 2 in USA. Ma è dopo la Prima Guerra Mondiale che mette in piedi la truffa che porta il suo nome e che lo farà passare alla storia.

Per dar vita al suo progetto criminale gli serve dapprima un piccolo tesoretto cui attingere. Mette così in piedi un’attività di compravendita di buoni per francobolli (utilizzati all’epoca dagli emigrati di tutto il mondo per permettere ai loro cari rimasti in patria di rispondere alle lettere che gli espatriati mandavano loro) che gli garantisce un certo guadagno che può reinvestire subito per attuare la truffa che ha in mente.

La truffa di Ponzi

Ecco quindi che racimolato un piccolo gruzzolo, inizia a cercare investitori disposti a consegnargli ingenti somme di denaro promettendo loro che nel giro di pochissimo tempo (generalmente un mese) avrebbe restito circa il 10% della stessa, spacciando quella somma come quota di interesse dell’investimento stesso. In realtà questi “finti” interessi non erano frutto di operazioni finanziarie, ma venivano pagati semplicemente con parte delle quote che gli investitori successivi lasciavano a Ponzi stesso il quale, avendo rimborsato regolarmente le prime “rate” a coloro che gli avevano già lasciato il proprio denaro, si era fatto un buon nome tra la gente che, ingolosita dal facile guadagno, accorreva ai suoi sportelli sempre più in massa.

Come facilmente intuibile, però, non essendo infiniti né gli investimenti né gli investitori, a loro volta non avrebbero mai potuto essere infiniti neanche i rimborsi, ancor più perchè alla base del meccanismo di Ponzi non era previsto nessun tipo di reinvestimento societario del capitale incassato (quello sì avrebbe potuto fruttare una quota di interessi che, a tassi certamente più bassi, avrebbe potuto essere rimborsato sul lungo periodo agli investitori) ma solo un puro e semplice meccanismo di restituzione di una percentuale dell’ammontare del capitale incassato mentre, la parte restante, finiva direttamente nelle tasche del truffatore di origini emiliane.

Il piano criminale non dura molto poichè la stampa si rende conto che con il solo patrimonio costituito dai buoni per acquistare francobolli che aveva messo a garanzia del suo piano criminale, Ponzi non sarebbe mai stato in grado di rimborsare i soldi che spettavano agli investitori. E’ così che, dopo meno di un anno dall’inizio della sua “attività”, Ponzi venne arrestato senza avere neanche il tempo di spostare parte dell’immenso capitale accumulato all’estero, e finì nuovamente in prigione.

Da qui in poi la vita di Ponzi verrà costellata da una serie di nuovi tentativi di truffa e di conseguenti arresti tra USA, Italia e Brasile fino alla morte sopraggiunta nella più totale povertà a Rio de Janeiro nel 1949.

Lo Schema Ponzi

Volendo riassumere il piano messo in piano da Ponzi – che, secondo quanto da lui stesso dichiarato, non era una truffa “originale” ma copiata da una banca canadese per la quale aveva lavorato per breve tempo, subito dopo l’arrivo in America -, potremmo dire che si tratta di uno schema piramidale perfetto dove coloro che stanno all’apice della piramide (l’ideatore della truffa ne è, ovviamente, il vertice), quelli che per primi investono i loro soldi nel progetto “pseudo-finanziario”, effettivamente ottengono un ritorno anche consistente dall’investimento.

Mano a mano che ci si sposta verso la base della piramide, però, avvicinandosi al punto in cui i potenziali investitori diventano sempre meno e sempre meno saranno i soldi che entreranno nel circolo vizioso, gli ultimi arrivati non solo non arriveranno mai a gudagnare alcunchè ma inizieranno a perdere parte del loro capitale. Coloro che si trovano alla base, gli ultimi ad essere stati circuiti prima della fine dei giochi, sono destinati a perdere per intero i soldi affidati al truffatore.

Ideatore

Primi truffati: signor A, signor B

Secondi truffati, mese 1: signor C, signor D, signor E, signor F 

Terzi truffati, mese 2: signor G, signor H, signor I, signor L, signor M, signor N, signor O, signor P

Fine dei giochi, mese 3: arresto dell’ideatore della truffa o fuga dello stesso con il malloppo

Per spiegare lo schema sopra riportato, ipotizziamo che i primi truffati, signor A e B, consegnino all’ideatore della truffa 100 euro. Il truffatore restituirà loro il 10% dell’investimento il primo mese, un ulteriore 10% il secondo e ancora un 10% al terzo mese. In realtà però, il truffatore, nel primo mese pagherà i rimborsi ai signori A e B con le quote versate dai signori C D E e F, quelle del secondo mese con le quote versate dai signori C D E F G H I L M N O e P. Allo stesso modo rimborserà i signori C D E ed F con i soldi dei signori G H I L M N O P e così via fino alla fuga vigliacca o all’arresto del truffatore. Alla fine dei tre mesi, ipotizzando un investimento di 100 euro per ogni investitore, il truffatore avrà incassato 1.400 euro (14 investitori per 100 euro) avendone restituito solo 80 (20 a testa ai signori A e B, a cui sono spettati due rimborsi mensili di 10 euro e 40 euro ai signori C D E e F  cui è spettato un solo rimborso mensile da 10 euro). I signori G H I L M N O e P, invece, non essendo stati “nel gioco” per neanche un mese intero, hanno perso per intero la loro quota senza incassare un euro non avendo maturato il fanatomatico interesse mensile promesso.

L’eredità di Ponzi

Lo schema di Ponzi, non è morto con il suo autore e i 40.000 americani da lui truffati, ma più volte negli anni seguenti è stato riproposto anche da importanti e stimati operatori finanziari. Il caso più eclatante si è avuto nel 2008 quando la polizia americana arrestò il banchiere Bernard Madoff, ex presidente di un istituto prestigioso come il NASDAQ, che aveva attuato un sistema truffaldino del tutto simile a quello di Ponzi. Ma Madoff non se la cavò con qualche anno di prigione come il truffatore italianom poichè per lui venne comminata una pena di ben 150 anni di carcere.

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