Che cos’è il Recovery Fund?

Come ben sappiamo, con lo scatenarsi della pandemia di Covid-19, quasi tutti i governi del mondo, soprattutto nella primavera dello scorso anno, hanno tentato di arginare i contagi chiudendo il maggior numero possibile di attività onde evitare i movimenti della popolazione e il conseguente propagarsi del virus. Questa chiusura forzata ha causato una crisi economica senza precedenti cui l’Europa, dopo estenuanti trattative, ha risposto varando l’ormai famoso Recovery Fund.

Come tutto ebbe inizio.

Dall’industria meccanica al turismo, dall’agricoltura alla ristorazione, quando alla fine dell’inverno del 2020 il Covid-19 si è prepotentemente abbattuto sull’Europa e sul resto del mondo, ad esclusione di limitatissimi tipi di industrie (produttori di mascherine, di guanti in lattice, gel disinfettante e poco altro) non c’è stato settore che non abbia subito pesantissime perdite economiche.

I primi provvedimenti applicati da più o meno tutti i governi Europei si sono concentrati sul rafforzamento temporaneo degli ammortizzatori sociali (blocco dei licenziamenti e ristori a pioggia seppur di importo contenuto), prestiti agevolati garantiti dallo stato, attivazione di un massiccio programma di lavoro da casa, rinvio o sospensione del pagamento di alcuni tipi di tasse, rateizzazione e dilazione dei debiti con l’erario e altre misure simili.

Ben presto, però, ci si è accorti che tutto questo non sarebbe bastato: oltre tre mesi di blocco totale delle attività produttive (cosa che si è infatti evitata nelle seguenti ondate della pandemia in molti settori dell’economia) con l’azzeramento degli ordinativi, così come la chiusura prolungata della ristorazione e di tutte le attività turistiche hanno causato danni all’economia affrontabili solo con un massicico ricorso alla vendita di titoli di stato – e quindi debito pubblico – di cui gli speculatori avrebbero fatto incetta, condannando molte nazioni, Italia in testa, al baratro e al fallimento definitivo.

In questa occasione però, l’Europa – nonostante l’ostruzionismo di alcuni politici populisti con simpatie per la destra estrema, con a capo il Primo Ministro olandese Rutte – per una volta, è riuscita a partorire un piano realmente ambizioso con prospettive concrete, il così detto Recovery Fund (fondo di recupero), progetto certamente non scevro di punti critici, ma che, se ben realizzato, può sicuramente rappresentare una svolta per l’economia del futuro nel Vecchio Continente.

Com’è strutturato il Recovery Fund.

Approvato nel luglio del 2020, dopo mesi di febbrili trattative, frenate dalle resistenze di nazioni sedicenti “frugali” (con in testa sempre l’Olanda, animate – più che dagli ovvi e per tanti versi giusificabili pregiudizi – dal desiderio di annientare economicamente le nazioni più fragili della stesa UE per sfruttare a proprio vantaggio la situazione), superate solo grazie alla rigida presa di posizione della leader tedesca Angela Merkel, l’UE ha finalmente approvato il meccanismo del Recovery Fund che garantirà finanziamenti alle nazioni colpite dalla crise tramite l’emissioni di bond europei garantiti dal bilancio della UE.

Foto di MasterTux da Pixabay

Il colossale piano economico diviso in dieci programmi, prevede, a regime, la distribuzione di ben 1.800 miliardi di euro – reperiti sul mercato obbligazionale – ai vari stati facenti parti dell’Unione proporzionalmente alle perdite avute durante la pandemia. La fetta più grossa della torta spetterà all’Italia cui saranno destinati circa 210 miliardi di euro.

Per ottenere i soldi, alle nazioni è chiesto di presentare alla Commissione un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nel quale specificare modi e tempi in cui utilizzare le risorse che, a loro volta, dopo un anticipo iniziale, verranno erogate in successive tranches solo e soltanto se la tabella di marcia dei vari progetti verrà rispettata. Una volta che la Commissione Europea avrà analizzato ed approvato i piani – che dovranno avere alla base riforme atte ad ottenere una transizione verde, la digitalizzazione, la parità di genere, incentivare l’occupazione, lotta all’evasione ficale e una riforma del sistema economico-fiscale tale da rendere sostenibile ed equilibrato il debito pubblico delle varie nazioni – comincerà la fase di distribuzione dei fondi, prevista già dalla prossima estate.

Ovviamente, i soldi che l’Unione Europea distribuirà non saranno regali ma in parte saranno finanziamenti a fondo perduto e in parte saranno prestiti da restituire.

E noi che ci guadagniamo?

Posto che gran parte dei fondi che ci arriveranno dal Recovery Fund dovranno comunque essere restituiti e che l’attuazione del programma sarà sempre sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Europea (e meno male, aggiungiamo noi, data l’italica cronica incapacità a spendere soldi per il bene comune e destinarli ai soliti noti abili a raccogliere finanziamenti e poi delocalizzare lontano dall’Italia), alcuni politici (che dato il loro ruolo di oppositori non possono avere le mani in pasta) e tuttologi da social con laurea magna cum laude all’Università della Strada, obiettano che “debito per debito” sarebbe stato meglio agire da noi e reperire i fondi necessari tramite i nosti titoli di stato senza passare al vaglio della Commissione Europea sul modo in cui vogliamo spendere i soldi.

E’ vero, la stessa critica è stata mossa anche da alcuni (pochi) economisti di tutto rispetto e non solo da terrapiattisti e/o “neonazisti che gridano libertà“, ma credere di poter ottenere sul mercato obbligazionale prestiti a tassi più favorevoli di quelli che riuscirebbe a reperire la Comunità Europea sembra un’ipotesi al limite della fantascienza oltre che un azzardo che potrebbe costare caro in futuro.

Sì, perchè l’Italia – com’è noto a tutti coloro che sappiano leggere, scrivere e far di conto – è una delle nazioni al mondo con il più alto debito pubblico e, dato che questo è stato creato da qualcuno in qualche modo (le scelte politiche scellerate e ignominiose fatte da troppi governi succedutisi negli ultimi 40 anni e avallate da una popolazione che, colpevolmente complice, ha continuato a votare i soliti noti) forse sarebbe il caso che “qualcun altro”, possibilmente non italiano, sia lì in attesa, pronto a bacchettarci appena andremo ad accingerci a perpetrare i soliti errori (crimini) di gestione delle risorse economiche.

Se poi a qualcuno non piacciono i tipi di progetti che l’UE è disposta a finanziare (tutela dell’ambiente, tutela del lavoro, parità di genere, lotta all’evasione fiscale), beh, in questo caso non servono né lezioni di economia né master in scienze politiche, poichè l’unica cosa utile che dovrebbero fare questi soggetti – spesso politici di professione (e già la locuzione “politici di professione” in sé fa un po’ schifo) – sarebbe un attento ripasso dei libri di storia ed educazione civica, insegnamenti che, anni addietro, gli stessi hanno ben pensato di ridurre ad una comica.

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Sex worker: chi è e di che si occupa

In breve. Il / la sex worker è un/una professionista che offre servizi sessuali in vari contesti, e il suo lavoro può includere una vasta gamma di attività, dalla compagnia all’intrattenimento per adulti. Le condizioni legali e sociali in cui operano possono variare significativamente a seconda delle normative locali e delle percezioni culturali. È essenziale trattare i sex worker con rispetto, riconoscendo le loro sfide e lavorando per garantire la loro sicurezza e i loro diritti.

Il termine “sex worker” si riferisce a chi lavora nel settore del sesso in varie forme. Questo include una vasta gamma di professioni e ruoli, tutti caratterizzati dall’offerta di servizi sessuali, che possono essere svolti in modo autonomo o all’interno di strutture organizzate. Lavorare nel settore del sesso può comportare rischi e sfide specifiche, e le persone che vi operano meritano rispetto e considerazione.

Chi è un Sex Worker

Un sex worker è un individuo che presta servizi sessuali come lavoro. Questi servizi possono variare ampiamente e possono includere attività legate al sesso, al divertimento per adulti o alla compagnia. I sex worker possono lavorare in modi diversi e in contesti vari, che includono:

  • Lavoro Autonomo: Persone che offrono servizi sessuali in modo indipendente, spesso utilizzando piattaforme online, annunci o attraverso contatti diretti.
  • Lavoro in Strutture: Individui che lavorano in strutture come bordelli, club per adulti o saune. Questi luoghi possono essere gestiti da terzi e il lavoro viene svolto sotto determinate condizioni.
  • Compagnia e Escort: Persone che offrono servizi di compagnia, che possono includere appuntamenti sociali o eventi pubblici, spesso con un elemento sessuale o romantico.
  • Lavoro Online: Include servizi di intrattenimento per adulti online, come chat sessuali, webcam e creazione di contenuti per adulti.

Di Che Si Occupa un Sex Worker

Le attività specifiche svolte da un sex worker possono variare notevolmente e possono includere:

  1. Servizi Sessuali:
    • Incontri Privati: Offrire servizi sessuali durante incontri uno a uno con clienti, sia in ambienti privati che pubblici.
    • Attività Sessuali: Eseguire una varietà di attività sessuali che possono essere concordate in anticipo con i clienti.
  2. Compagnia e Socializzazione:
    • Compagnia a Eventi: Offrire servizi di accompagnamento a eventi sociali, cene, o viaggi.
    • Interazioni Sociali: Fornire compagnia e conversazione, che può includere aspetti di intimità e condivisione personale.
  3. Gestione e Sicurezza:
    • Sicurezza: Gestire la propria sicurezza e quella dei clienti, utilizzando misure di protezione e precauzioni per minimizzare i rischi.
    • Gestione degli Appuntamenti: Organizzare e pianificare incontri con i clienti, mantenendo riservatezza e discrezione.
  4. Promozione e Marketing:
    • Pubblicità: Promuovere i propri servizi attraverso vari canali, come siti web, social media e annunci.
    • Networking: Stabilire e mantenere relazioni con clienti e potenziali clienti.
  5. Servizi Online:
    • Intrattenimento per Adulti: Fornire servizi come chat o webcam per adulti, vendere contenuti esclusivi come video o fotografie.
    • Gestione delle Piattaforme Online: Utilizzare e gestire profili su piattaforme specializzate nel settore del sesso.

Aspetti Legali e Socio-Culturali

La legalità e la regolamentazione del lavoro sessuale variano notevolmente tra i diversi paesi e giurisdizioni. In alcuni luoghi, il lavoro sessuale è legalmente riconosciuto e regolato, mentre in altri è parzialmente o totalmente criminalizzato. Le leggi e le normative possono influenzare significativamente le condizioni di lavoro e la sicurezza dei sex worker.

**1. Legalità

  • Regolamentazione: Alcuni paesi regolano il lavoro sessuale attraverso leggi che stabiliscono diritti e protezioni per i sex worker.
  • Criminalizzazione: In altre giurisdizioni, il lavoro sessuale può essere criminalizzato, rendendo difficile per i lavoratori accedere a protezioni legali e servizi di supporto.

**2. Sicurezza e Salute

  • Protezione: La sicurezza e la protezione dei sex worker sono preoccupazioni primarie, data la vulnerabilità a violenze e sfruttamento.
  • Salute: La salute sessuale e generale è una priorità, e molti sex worker adottano misure per proteggere sé stessi e i propri clienti.

**3. Stigma e Discriminazione

  • Stigma Sociale: I sex worker possono affrontare stigmatizzazione e discriminazione che influenzano la loro vita personale e professionale.
  • Accesso ai Servizi: Possono incontrare difficoltà nell’accesso a servizi sociali e sanitari a causa di pregiudizi o discriminazione.

Di Cosa NON Si Occupa un Sex Worker

È importante chiarire cosa non rientra nelle responsabilità di un sex worker:

  1. Criminalità e Abusi:
    • Attività Illegali: I sex worker non sono responsabili di attività criminali come sfruttamento minorile o traffico di esseri umani. La maggior parte lavora in modo consensuale e legittimo.
    • Violenza: Non sono responsabili per comportamenti violenti o abusivi. La protezione e la sicurezza sono cruciali, e molti lavorano per prevenire e denunciare abusi.
  2. Lavoro Non Consensuale:
    • Sfruttamento: I sex worker non dovrebbero essere costretti a lavorare contro la loro volontà o essere soggetti a sfruttamento. Il lavoro deve essere consensuale e autonomo.
  3. Responsabilità Legali di Terzi:
    • Normative: Non sono responsabili per la legalità del lavoro sessuale in generale o per la creazione di leggi e regolamenti che riguardano il settore.
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