Dopo la crisi scatenata a inizio millennio dalla bolla delle dot-com e quella di pochi anni dopo, relativa ai mutui subprime, alcuni osservatori lanciano l’allarme che a breve possa scatenarsi una nuova bolla speculativa in grado di sconvolgere gli asset finanziari e questa volta la responsabilità dovrebbe ricadere sullle criptovalute – le monete elettroniche – dal valore troppo instabile e volatile. I segnali che ci giungono negli ultimi mesi dalle analisi delle loro contrattazioni non sono affatto incoraggianti.
Dot-com, mutui subprime e criptovalute: cos’hanno in comune?
Quando, tra il 2000 e il 2001, è scoppiata la bolla delle dot-com, l’attenzione degli analisti si è focalizzata sul fatto che le aziende coinvolte – impegnate più a trovare clienti e a far salire il valore delle azioni che a creare “prodotto vendibile” e ad investire in tecnologia e know-how – avevano creato un sistema per cui il valore finanziario delle stesse era enormemente gonfiato rispetto a quello reale, tutto ciò a causa dell’atteggiamento speculativo dei manager e di parte degli investitori finanziari che lucravano su di esse.
Quando gli investitori hanno capito che, per mancanza di “valore reale”, non sarebbe mai stato possibile monetizzare le azioni di quelle aziende al prezzo vertiginoso cui erano arrivate ad essere valutate, rapidamente si è assistita alla corsa alla vendita azionaria e alla conseguente svalutazione e fallimento delle aziende quotate. Di fatto, nel giro di pochi anni, le poche aziende della New Economy che sopravvissero allo tsunami finanziario furono solo quelle che erano state brave ad investire sulla tecnologia e sul prodotto da offrire all’utenza, creando un circolo economico solido in cui “veri clienti” acquistavano “veri beni”: Amazon, Google, Ebay, Apple, sono tra le poche che hanno superato la tempesta più forti di prima (seppur subendo anche loro pesanti perdite allo scoppio della bolla) e non è un caso se tuttora dominano il settore.
La bolla dei mutui subprime – iniziata nel 2006 toccando il vertice alla fine del 2008 -, allo stesso modo, ha visto il mercato immobiliare (soprattutto americano) venire travolto dall’effimera sopravvalutazione dei mutui contratti da clienti impreparati a leggere il momento che, repentinamente, si sono trovati senza soldi e senza proprietà dall’oggi al domani. Il perverso meccanismo che era stato messo in moto dalle banche (alcune delle quali, la Lehman Brother su tutte, costrette alla bancarotta) prevedeva di invogliare l’utenza ad investire nel mercato immobiliare, proponendo mutui a tasso variabile con un bassissimo interesse di partenza che sarebbe mano a mano cambiato nel tempo in virtù dell’andamento del mercato immobiliare stesso.
Effettivamente questi tassi agevolati (ovviamente “agevolati” solo in partenza) fecero cadere nella rete tantissimi investitori che iniziarono ad acquistare case e appartamenti, facendo aumentare la domanda e, conseguentemente, il valore degli immobili stessi. Essendo variabile il tasso d’interesse del mutuo, si è verificato il paradosso che aumentando il valore della casa acquistata è aumentato anche il tasso d’interesse che il cliente della banca era costretto a restituire, innescando un meccanismo di vero e proprio strozzinaggio a cui una gran parte degli acquirenti non sono stati in grado di reagire, portandoli al punto di non poter più pagare il mutuo con la conseguente confisca degli immobili da parte delle banche creditrici. Rapidamente milioni di americani (il fenomeno si è verificato pesantemente anche in Europa anche se con un impatto meno devastante) si trovarono sul lastrico, senza soldi e senza casa, e le banche si caricarono sul groppone migliaia di immobili confiscati ma che nessuno avrebbe mai acquistato con i tassi d’interesse vertiginosi a cui erano arrivati ad essere concessi i mutui. La soluzione fu dolorosamente semplice: rimettere sul mercato quegli stessi immobili ad un tasso fisso ed enormemente ribassato, svalutando la capitalizzazione degli istituti bancari stessi e facendo esplodere la “bolla”.
Ebbene, cosa ci insegnano le due crisi di cui abbiamo appena accennato? La risposta (banale) è che la supervalutazione di un bene porta a speculazione incontrollata e, conseguentemente, all’esplosione di una “bolla finanziaria” quando i “soldi reali” non bastano più per pagare il “valore fittizio” del bene sopravvalutato.
Lo stesso concetto è alla base delle criptovalute, forme d’investimento altamente volatili, non ancora regolamentate a livello legislativo, poco trasparenti e inclini ad essere utilizzate più per il pagamento di servizi illegali (sicuramente avrete sentito parlare dei riscatti richiesti per i furti di dati che devono essere pagati in moneta elettronica ma financhè i sicari sembra vengano pagati con moneta elettronica dopo essere stati ingaggiati tramite dark-web) che per operazioni tracciabili e alla luce del sole.
In una dichiarazione congiunta, recentemente, la Consob e Bankitalia hanno messo in guardia gli investitori (soprattutto quelli piccoli) sui rischi che sono incombenti sul mercato delle criptovalute. Citiamo testualmente:
“In assenza di un quadro regolamentare di riferimento, l’operatività in cripto-attività presenta rischi di diversa natura, tra cui: la scarsa disponibilità di informazioni in merito alle modalità di determinazione dei prezzi; la volatilità delle quotazioni; la complessità delle tecnologie sottostanti; l’assenza di tutele legali e contrattuali, di obblighi informativi da parte degli operatori e di specifiche forme di supervisione su tali operatori nonché di regole a salvaguardia delle somme impiegate. Si segnala, altresì, il rischio di perdite a causa di malfunzionamenti, attacchi informatici o smarrimento delle credenziali di accesso ai portafogli elettronici.”
A conferma di ciò negli ultimi mesi si è visto un vorticoso sali-scendi nelle quotazioni delle monete elettroniche a testimonianza di due fattori:
- Il mercato delle criptovalute è troppo influenzato/influenzabile dalla componente emotiva del mercato: quando i giudizi prevalenti su di esse sono positivi il loro valore si impenna, quando vengono criticate, precipita. Qui c’è il parallelismo con la bolla delle dot.com – aziende che promettevano miracoli cibernetici producendo di fatto fuffa pagata a peso d’oro – ma anche con i mutui subprime dove i sottoscrittori dei mutui venivano adescati grazie ai tassi bassissimi promessi alla stipula del contratto per poi essere martoriati dagli interessi dopo pochi mesi.
- Le criptovalute non sono vere e proprie valute in quanto con esse non si può contemporaneamente speculare e utilizzarle come forma di pagamento perchè, nel loro caso, l’una cosa esclude l’altra: se si vuole speculare con i BitCoin non conviene spenderli (a meno che non lo si faccia tutto d’un colpo possedendone un cospicuo portafogli) altrimenti si fa abbassare il loro valore. Questo circolo vizioso fa si che non possano essere utilizzate come le normali monete perchè i prezzi della merce o dei servizi che con esse si andrebbero a pagare dovrebbero essere rivisti pesantemente giorno per giorno.
Non è un caso quindi se, ad eccezione delle transazioni illecite – dopo le quali, colui che incassa converte subito le criptovalute in moneta “vera” proprio per non rischiare di perdere valore – le criptovalute non siano utilizzate nelle operazioni di compra-vendita di tutti i giorni: avete mai pagato il pane in BitCoin?
E, guarda caso, gli effimeri tentativi che sono stati fatti in tal senso (uno su tutti quando Elon Musk incentivò l’acquista delle sue auto Tesla con i BitCoin, salvo repentino ripensamento accampando scuse abbastanza ridicole) sono tutti finiti presto in una bolla di sapone.
Le criptovalute potranno quindi causare una crisi economica?
Sebbene ci sia una parte minoritaria (ma comunque non effimera) di analisti che “tifano” per le criptovalute e le vedono come una risorsa per l’economia del futuro, la maggioranza degli economisti è scettica sull’ipotesi di radicamento della cripto-attività nella vita di tutti i giorni e buona parte di loro predice imminenti catastrofi economiche prodotte proprio da questo tipo di economia.
Dato che le criptovalute non sono di uso comune tra le persone di reddito medio-basso e la loro ricaduta sui commerci fisici è limitata, ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare che una crisi causata da queste non possa avere troppe ripercussioni sulla maggioranza della popolazione mondiale che nulla ha da dare nè ha da prendere dai BitCoin. Ma il fatto che la gran parte di questo tipo di monete sia nelle mani delle persone più ricche del mondo (Elon Musk su tutti) non può comunque farci prendere sottogamba il pericolo di una crisi di questo tipo di economia perchè, se la “bolla” dovesse scoppiare e questi ipermiliardari dovessero perdere fior di quattrini, le ripercussioni delle loro perdite si faranno sentire automaticamente sui loro investimenti e sulle loro aziende e, a catena, sui loro dipendenti, sulle loro famiglie e sugli interi contesti in cui essi vivono.
Insomma, il rischio di una crisi economica causata dalle criptovalute sembra essere reale e, forse, anche imminente: basta che un solo grande possessore di BitCoin (Elon Musk?) decida di convertire in moneta reale il suo intero portafoglio di valuta elettronica e la crisi sarà servita come la migliore pietanza al peggiore dei convitati di pietra. Se questo evento si verificasse (e l’ipotesi non è affatto peregrina) di colpo una gran quantità di moneta “reale” verrà dirottata in un’unica direzione nelle tasche di una persona già iper ricca e, immediatamente dopo, il valore della moneta virtuale precipiterà verso il fondo, portando con sé una gran quantità di piccoli investitori.