Come scegliere una carta di credito sul web

Non c’è dubbio che la scelta della carta di credito da effettuare sul web sia ormai una realtà consolidata ed una consuetudine per moltissimi italiani. Scegliere la propria carta su internet, del resto, permette di rivolgersi alle banche virtuali o senza sportello, che offrono in genere lo stesso tipo di servizi e permettono, peraltro, di crearsi il proprio conto associato alla carta senza doversi muovere da casa.

Giusto ieri, il sito di statistiche e sondaggi Statista ha recentemente pubblicato una classifica delle migliori banche: i criteri considerati erano, nello specifico, fiducia, termini e condizioni contrattuali, tipi di servizi alla clientela, servizi digitali e consulenza finanziaria. I dati dettagliati sono noti soltanto pagando per ottenere il report, per quanto la rivista Forbes abbia indicato i contenuti in un articolo su questo argomento. Secondo l’analisi in questione, che riportiamo per la cronaca, la migliore banca sarebbe la tedesca N26, seguita da Fineco e Banca Adria Colli Euganei: subito dopo troviamo, nella classifica per il nostro paese, Mediolanum Banca e Banca Sella. Possiamo pensare, in effetti, di sfruttare i medesimi criteri per la scelta della nostra carta di credito online: in primis, infatti, possiamo considerare il tipo di fiducia che riponiamo nei confronti di quel tipo di carta.

Sul web si trovano spesso, anche grazie a Google, varie carte che a volte tutto ispirano tranne che fiducia, in effetti: non sono chiare le modalità di erogazione del servizio, e tutto sembra improntato sullo slogano e sull’effetto altisonante che provoca, o se preferite su quello che si chiama “hype” . Per cui in questi casi affidarsi ad un brand solido ed operante in modo serio nel settore del banking, che possa supportare le nostre scelte operative mediante una realtà bancaria altrettanto stabile, è sicuramente uno dei primissimi fattori da considerare. Verificate che tipo di banca ci sia dietro ad ogni carta, insomma: questo è il consiglio che mi sento di darvi.

In secondo luogo, anche se qui bisogna essere un po’ più ferrati in materia, viene la valutazione dei termini contrattuali che sono proposti: al fine di tutelarsi le banche, infatti, tendono a produrre fin troppa documentazione su questo argomento, spesso proponendo delle condizioni che non sono necessariamente chiare per chiunque. Si tratta di un modo che hanno, sostanzialmente, per tutelare i propri investimenti ed il proprio capitale, e probabilmente conviene leggere tutto con attenzione e chiedere chiarimenti in caso: se ci sono dubbi, poi, scegliete un altro tipo di carta. In genere, infatti, le carte di credito online sono associate ad un conto, per cui è necessario aprire un rapporto con la banca che è più light nel caso delle carte prepagate e più “impegnativo” per le carte di debito (e ancora di più per quelle di credito).

In secondo luogo, chi vuole procurarsi una carta di credito su internet deve fare delle valutazioni sui costi, senza dubbio: è chiaro che su internet ci aspettiamo di spendere qualcosa in meno. È anche normale, perchè in genere sul web costa tutto di meno, ma c’è anche da dire che i servizi online tendono comunque a mantenere i costi contenuti e, anzi, incentivano l’uso dei servizi digitali o di home banking grazie al web stesso. Questo non vale soltanto per i privati, come si sarebbe portati a pensare, ma anche per le aziende ed i liberi professionisti, ad esempio come suggerisce carteprepagate.org che elenca delle carte specifiche per questa tipologia di utenza, in grado di facilitare e favorire le operazioni bancarie annesse ad un’azienda.

La tipologia di servizi e la rispettiva valutazione da parte del cliente, poi, sono sicuramente uno degli aspetti più importanti da prendere in considerazione. Le tipologie di servizi di banking sono quelle classiche, e sono sostanzialmente sempre uguali:

  • funzionalità di bonifici (classici o istantaneo)
  • disponibilità di un IBAN per ricevere pagamenti e/o accredito stipendio
  • funzionalità di pagamento tributi (F24, ecc.)
  • possibilità di effettuare investimenti su titoli sia dal sito della banca che, eventualmente, dall’app ufficiale

Anche qui rientra una valutazione sulla qualità dei servizi informatici che vengono offerti dalle diverse carte: in genere questo può comportare dei costi proporzionali al tipo di servizio richiesto, ma le operazioni come quelle elencati qui sopra da effettuarsi in via digitale sono in genere sempre gratuite. Può essere richiesto un sovrapprezzo o una fee su determinati tipi di operazioni, ed in linea di massima si pagano anche a parte i servizi di consulenza finanziaria che potrebbero essere legati al conto associato alla carta. Massima attenzione, quindi, nella scelta!

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Perchè non saranno le blockchain a distruggere il pianeta (forse)

A meno che tu non abbia vissuto su Marte negli ultimi due anni (il che, per inciso, avendone la possibilità, potrebbe essere per certi versi un’idea quasi interessante), ti sarai sicuramente fatto un’opinione sul mondo degli NFT e delle criptovalute, cercando di capirne il valore, il funzionamento e la base fondata sulla citatissima blockchain. Sia NFT che bitcoin e affini, infatti, si basano sulla tecnologia blockchain, il “libro mastro” in cui vengono salvate le varie transazioni in modo irreversibile, sicuro e non modificabile.

Per essere estremamente chiari, a questo punto, c’è un aspetto che convince poco e piace ancora meno ai più, soprattutto se sensibili (come si dovrebbe) alle tematiche ambientaliste: si stima infatti che Bitcoin – la blockchain più popolare ad oggi, probabilmente – utilizzi quasi la metà dell’energia mondiale, la stessa che consuma ordinariamente un paese come la Finlandia. In un momento di crisi geopolitica profonda come quella che stiamo vivendo, ovviamente, tutto ciò assume i contorni della più assoluta futilità, tanto da farci ritenere che sarebbe il caso di dismettere tutto questo lavorìo e consumo energetico e pensare di nuovo all’essenziale.

Ma se danneggiano così tanto l’ambiente, perchè non dismettere tutte le blockchain?

Ora, a parte il fatto che dismettere una blockchain non è così semplice dato che, per sua stessa definizione, è “quasi” indistruttibile per lo stesso motivo per cui è quasi impossibile da corrompere, falsificare e non esiste, se vogliamo, un vero e proprio “interruttore” da premere per spegnerla – vale la pena di fare qualche osservazione sensata sull’argomento, dato che abbiamo più volte discusso il tema nel nostro piccolo blog e, come dire, è venuto il momento di confrontarsi quantomeno seriamente. Se siete ostili alla tecnologia, in sostanza, vi proporrei di provare a dimenticare ciò che pensate solo per qualche istante: la vostra opinione non andrà via e non ho intenzione di rubarvela, ci mancherebbe altro. A fine post, per intenderci, ve la potrete riprendere e, solo se vi va, rivalutarla di conseguenza.

Ad impedirvi di dismettere le blockchain, di fatto, vi sarà qualcosa di poco ovvio, qualcosa in più dell’interesse economico di qualche riccone: vi è proprio un limite intrinseco della tecnologia, molto simile a quello che impedisce (se non per zone geografiche limitate, come purtroppo sappiamo) di censurare internet in varie parti del mondo.

Dalla blockchain al danno per l’ambiente

Partiamo dalla definizione di blockchain: puoi pensare alla blockchain come ad un un database decentralizzato e distribuito su vari computer, che memorizza dati in forma di transazioni (che possono essere scambi di moneta come firme di contratti, ad esempio). Le blockchain sono dannose per l’ambiente è una domanda importante che non merita risposte evasive, superficiali o grossolane, ma richiede un minimo di ragionamento su cosa comporta, nello specifico, salvare una qualsiasi di quelle transazioni su cui si basa il loro funzionamento.

Tutto nasce nel momento in cui il Crypto Carbon Ratings Institute pubblica la notizia che Bitcoin utilizzerebbe l’incredibile cifra di 17,2 megawattora di energia per finalizzare una singola transazione. Un dato sicuramente considerevole (per non dire allarmante) surrogato da una API a supporto, documentata su GitHub, che permette di eseguire un calcolo del genere per qualsiasi criptovaluta. Quel calcolo è altamente specifico della blockchain di Bitcoin: Ethereum, ad esempio, sembra consumare un po’ meno, ancora troppo per gli standard in cui viviamo, e si è dimostrata sensibile al tema tanto da rivedere la propria tecnologia per renderla più efficente dal punto di vista energetico.

L’esempio virtuoso di Ethereum e Solana

Se una ricerca su Google sembra consumare l’equivalente di 0,3 Wh, la blockchain di criptovalute come Solana ne consumano poco più della metà. Quando si fanno certi calcoli, in sostanza, bisognerebbe sempre chiarire di che cosa parliamo. Solana, di fatto, per fare una singola transazione costa molto, molto meno di Bitcoin, ma è anche vero che possiede un valore altrettanto più basso: 1 Solana vale circa 80€, al momento in cui scriviamo, mentre 1 BTC ne vale circa 37 mila. Di fatto, affermare a priori che le blockchain consumano troppo è come dire che i dipendenti di Amazon guadagnano troppo: la domanda da farsi è “a chi ci riferiamo”, perchè un conto è il CEO e uno è l’ultimo dei magazzinieri.

Chiaro, l’uso eccessivo di energia di Bitcoin è un enorme problema, soprattutto perché le criptovalute sono di natura autogenerativa e, per quanto sia sempre più difficile fare mining su un progetto del genere, i detentori del capitale non hanno alcun ragionevole interesse a ridurre l’impatto ambientale dello stesso. Anche perchè, di fatto, il problema potrebbe non essere affrontabile da un punto di vista tecnico: se alla base del mining, infatti, vi è la risoluzione di una specie di “puzzle” informatici con cui essere ricompensati con una fee per averlo fatto, ridurre l’impatto ambientale e lasciare utilizzabile la tecnologia potrebbe, di fatto, non essere proprio all’ordine del giorno.

Ma come qualcuno che sta valutando se Solana, ad esempio, potrebbe essere utile per risolvere problemi reali nel mondo, i costi energetici di Bitcoin sono irrilevanti. I due potrebbero provenire dallo stesso antenato, ma sono mondi a parte. Chiaro che le blockchain non sono necessariamente cattive, ciò non finirà certo per renderle buone: il punto, probabilmente, potrebbe essere insito nel fatto che è sbagliato giudicare eticamente una qualsiasi tecnologia, se non in relazione all’uso che si decide di farne. Se bitcoin non è certamente la moneta più virtuosa al mondo in termini ambientali, potrebbe costruirsi un’alternativa sostenibile che potrebbe, di fatto, essere una delle criptovalute citate. L’impatto ambientale eccessivo potrebbe essere anche legato, a mio avviso, al fatto che il suo valore non sembri crescere più come prima, rimanendo arenato in un’area che potrebbe decretarne lo stallo ancora per un po’. Se è per quello, anche le auto che prendiamo tutti i giorni inquinano, almeno fin quando non saremo convinti dell’adozione delle macchine elettriche a pieno regime. Ed è qui che bisognerebbe fermarsi a riflettere un po’, non tanto sull’assodata indispensabilità della tecnologia quanto al fatto che usiamo l’auto sia per andarci a fare un futile aperitivo che per accompagnare un nostro caro in ospedale. La tecnologia vive sempre su ciò che decidiamo di farne, per quanto una forma di grottesco “animismo” suggerisca che esistano tecnologie buone e cattive in assoluto.

I  problemi della società globalizzata in cui viviamo, di fatto, riguardano molto spesso squilibri egoistici effettivamente sulla falsariga dell’uso sconsiderato di blockchain poco “ecologiche” come quelle di BTC: ma l’analisi non può ridursi a concludere che basti l’iconoclastia per risolvere il tutto. Distruggere ciò che ci mette in pericolo, come si è visto negli ultimi anni, potrebbe non bastare: ed è lì che dovremo lavorare per trovare nuovi compromessi di vivibilità, nell’ottica del bene comune.

(liberamente ispirato alla lettura di Blockchains will maybe not destroy the planet di zeptonaut.com)

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E-commerce: conviene aprire un negozio online?

La dilagante espansione del fenomeno internet negli ultimi 20 anni, come ben sappiamo, ha portato il vivere quotidiano su un altro livello difficilmente immaginabile solo negli anni ’80. Dalla richiesta di un certificato anagrafico alla prenotazione di una visita medica, dalla ricetta da cucinare a pranzo alle tendenze della moda, ogni cosa che ci interessa è possibile trovarla in rete e, ovviamente, con il proliferare dei negozi online, ciò che si trova si può anche acquistare con pochi click. Ma aprire un negozio online conviene sempre? Semplifica davvero la vita del negoziante e del cliente? Che tipo di problematiche si devono affrontare nel gestirlo? Seguiteci e cercheremo di scoprire tutto questo insieme a voi!

Cos’è un negozio online?

Come facilmente intuibile, un negozio online (oppure store online per chi ama gli anglicismi o anche e-commerce per chi ama l’informatica) è un luogo di vendita di beni e/o servizi a cui si accede tramite internet. Dal punto di vista meramente burocratico per aprirlo si è soggetti alle stesse autorizzazioni legali e imposizioni fiscali di un negozio fisico.

Questo fenomeno relativamente recente (venti anni più o meno) si sta espandendo a macchia d’olio e sovente, oltre agli arcinoti colossi dell’e-commerce – Amazon, eBay, Zalando e una serie di negozi specializzati in determinati settori con introiti mostruosi (pensiamo a Thomann e Musician’s Friend per gli strumenti musicali o SportDirect per l’abbigliamento sportivo) – vede in campo un’infinità di piccoli negozi che, un po’ per pubblicità, un po’ per moda, un po’ (purtroppo) come ultima spiaggia per rilanciare un’attività sull’orlo del fallimento, affiancano al negozio fisico quello online nella speranza di fare dei buoni affari grazie allo sconfinato mercato di internet. Il più delle volte, però, dopo una partenza a razzo, il negozietto perde slancio, le vendite non decollano, il sito non viene più aggiornato o messo offline e il piccolo negoziante torna a fare quello che fino all’altro ieri era bravissimo a fare: concentrarsi sulla clientela “fisica” e gestire il negozio in maniera “classica”.

Per capire perchè spesso ciò avviene diamo uno sguardo a come si gestisce un negozio online.

Come si gestisce un negozio online.

Innazitutto serve un software di gestione di magazzino – ne esistono svariati – i cui dati siano implementabili nel sito web del negozio virtuale in modo tale che la giacenza dei prodotti messi in vendita online sarà sempre aggiornata… o almeno dovrebbe. Sì, perchè se è vero che ormai quasi tutti i negozi (fisici e online) effettuano le operazioni di carico e scarico dei prodotti (carico = immissione dei nuovi prodotti nell’inventario; scarico = sottrazione dall’inventario dei capi venduti/scaduti/difettati/spostati in deposito per cambio stagione) tramite la pistola ottica collegata ad un computer dove è, appunto, installato il programma di gestione di magazzino, è altresì vero che, specialmente nei piccoli negozi, questa operazione spesso non viene fatta in maniera istantanea e/o precisa e quando ci si ritrova a fare l’inventario, automaticamente qualcosa non torna: alcuni articoli si troveranno ad essere in numero maggiore del dovuto altri in numero minore e ciò è causato quasi sempre da sviste degli operatori in fase di carico/scarico della merce.

Foto di Steve Buissinne da Pixabay

Se le imprecisioni di inventario (tra le urla ferine del titolare) in un negozio fisico possono essere comunque gestite in quanto o l’acquirente acquista un bene immediatamente disponibile “lì ed ora” oppure, qualora l’articolo desiderato non fosse presente in magazzino, il cliente saluta, ringrazia e se ne va’ per poi tornare eventualmente in un secondo momento, nel negozio online la precisione dei dati di inventario è una condizione irrinunciabile: il cliente – che non si interfaccia direttamente con il negoziante – compra ciò che il sito gli dice essere disponibile, paga “al buio” per un oggetto che non ha fisicamente in mano e si aspetta che entro i tempi di attesa comunicati dal sistema stesso il suo acquisto arrivi a casa.

Se l’inventario non è aggiornato e preciso e il bene acquistato online non è in realtà disponibile in magazzino per la spedizione, il negoziante dovrà comunicare al cliente che l’ordine da lui effettuato non potrà essere spedito in quanto la merce è indisponibile e ciò comporta l’obbligo di attuare le procedure di rimborso, la quasi scontata perdita del cliente con la conseguente pubblicità negativa che probabilmente questi farà e, qualora si sia deciso di vendere i propri articoli su piattaforme tipo Amazon o eBay che forniscono il servizio di hosting di altri negozi, un simile errore si paga con feedback negativi visibili da chiunque in ogni parte del mondo con conseguenti possibili richiami da parte dei gestori della piattaforma ospitante qualora il disguido capiti di frequente.

Nonostante possa sembrare improbabile, in realtà i piccoli negozi, magari gestiti da un solo dipendente (che il più delle volte coincide con il titolare), hanno notevoli difficoltà a gestire il magazzino informatico (indipendentemente se ad esso sia associato un negozio online o meno) poichè spesso questi si ritrova a dover affrontare più problematiche contemporaneamente: gestione dei clienti in negozio, rispondere alle telefonate, consegne da parte dei corrieri, pulizia e riordino del locale, malfunzionamento del pc o scarsa connessione di rete, cambio del rotolo degli scontrini della cassa e infinite altre variabile che, immancabilmente, si andranno a verificare nello stesso momento (la Legge di Murphy è implacabile) aumentando la possibilità di commettere errori sul terminale o dimenticare di eseguire alcuni procedimenti richiesti dal sistema per tenere l’inventario aggiornato.

Una cosa che non bisogna mai sottovalutare quando si vuole gestire sia un negozio fisico che uno online è quella di tenere sempre d’occhio il PC con il software di gestione in bella vista poichè appena un articolo verrà venduto online il programma ci comunicherà di toglierlo dal magazzino e prepararlo alla spedizione. Può sembrare banale ma se non si presta questa attenzione c’è il rischio che inconsapevolmente un articolo possa essere venduto contemporaneamente sia nel negozio fisico che online e se di quell’articolo in giacenza ce n’è solo un esemplare il negoziante, arrivato alla cassa, dovrà scegliere se fare brutta figura con il cliente che si trova in carne e ossa davanti a lui o con quello che ha acquistato via internet poichè, automaticamente, dovrà negare il prodotto ad uno dei due.

Un’altra cosa da considerare è il fatto che, appena il negoziante arriva in negozio, prima di aprirlo al pubblico, deve controllare lo stato delle vendite online e togliere dagli scaffali gli articoli relativi agli ordini avvenuti nel periodo di chiusura (su internet si acquista anche in piena notte) per prepararli alla spedizione. Anche questo può sembrare banale ma vi garantiamo che in periodi di particolare affollamento nei negozi – come ad esempio i giorni che precedono il Natale -, anche cose così semplici da dire non sono altrettanto facili da fare nei piccoli esercizi commerciali.

In ultimo, il negozio online implica un’ulteriore spesa per il packaging e per la consegna dei beni venduti. Qui c’è da porsi una domanda: conviene rifornirsi di scatole da spedizione (che non sono gratis) per un volume di vendite online che non riuscirebbe a coprire neanche questo tipo di spesa? E’ una domanda la cui risposta, ovviamente, rientra nell’alea del rischio di impresa, ma se si decide di aprire il negozio online solo per fini di visibilità forse è meglio spendere i propri soldi in altri metodi di pubblicità più efficaci ed economici per un piccolo esercizio commerciale.

A chi conviene aprire un negozio online?

Ovviamente se non avete un negozio fisico e volete concentrarvi solo sulle vendite online, gran parte delle problematiche sopra esposte le eviterete alla base. Naturalmente anche voi dovrete avere il magazzino in ordine ma nel vostro caso sarà tutto più gestibile poichè vi risparmierete le difficoltà insite nella coesistenza tra i due tipi di negozio. Per voi la scommessa commerciale sarà quella di cercare di fare il miglior prezzo e consegnare nel minor tempo possibile: difficile, perchè c’è tanta concorrenza, ma se lo avete scelto come lavoro saprete già che questo, per sua natura, implica sacrifici e difficoltà.

Foto di Ilderson Casu da Pixabay

Se invece volete associare al vostro negozio fisico una controparte online, beh, il nostro consiglio è quello di pensarci bene, prendere in considerazione tutte le problematiche trattate sopra e studiare le contromisure.

Possiamo lasciarvi alcuni consigli che crediamo potranno tornarvi utili:

  • Se possibile, affidate il settore della vendita online ad un dipendente che si occupi solo di quello, seguendo tutte le fasi della vendita, dalla pubblicazione degli articoli da commercializzare online alla spedizione degli ordini e che si occupi anche del customer care. Ovviamente potrete prendere questa iniziativa solo se il volume di affari che lo store online muove ne giustifica la spesa ma di certo così facendo il servizio funzionerà a dovere e senza intoppi (o almeno si spera).
  • Qualora non possiate permettervi un dipendente che si occupi solo del settore online, cercate di mettere sul sito solo gli articoli di cui avete ampia disponibilità (in maniera tale da bypassare le problematiche che si potrebbero avere in caso di un inventario non particolarmente preciso) oppure utilizzate internet per vendere gli articoli delle aziende che vi garantiscono un riassortimento della merce in tempi celeri: se un cliente online acquista un prodotto che in realtà non è più disponibile in magazzino, se avete la certezza che il vostro fornitore vi possa far avere quel prodotto in pochi giorni, invece di dover comunicare al cliente che la vendita è stata annullata dovrete semplicemente comunicargli che l’articolo invece di arrivare in 2-3 giorni, per “problemi vari&eventuali” (siete venditori, le scuse non vi mancheranno!), verrà consegnanto in una settimana-dieci giorni e probabilmente, così facendo, salverete capra e cavoli.
  • Se il negozio online vi serve più che altro per visibilità e per dare l’impressione di essere al passo con i tempi (cosa che alla clientela piace un sacco) vi conviene mettere in vendita solo pochi prodotti “di stagione” che “tirano” in quel particolare momento (con un occhio sempre attenti all’inventario) e tanti articoli di rimanenza a prezzo ribassato: avrete così modo di “liberare” il magazzino togliendo dagli scaffali prodotti invenduti da anni, e farvi pubblicità in una maniera che si auto-sostiene.
  • Se non avete dipendenti o comunque con i pochi che avete vi rendete conto di non poter riuscire a gestire a dovere contemporaneamente un negozio fisico e uno online, evitate di mettere in vendita su internet ogni articolo che avete a disposizione in magazzino perchè così facendo la possibilità di errore si moltiplica esponenzialemente e i benefici della pubblicità su internet verrebbero vanificati da una incapacità di fornire il servizio.

Come avrete notato, più volte abbiamo sottolineato il discorso della visibilità e della pubblicità, questo è dovuto al fatto che per un piccolo esercizio sperare di diventare un colosso di internet è difficile se non impossibile poichè la concorrenza dei grandi store è implacabile e imbattibile: grazie all’enorme numero di clienti e alla facilità di riassortire il prodotto sono loro a dettare i prezzi di mercato nei quali margini voi riuscirete a sopravvivere a stento. Ma se dimostrate serietà ed affidabilità nella gestione dello store online, di certo questi fattori avranno una ricaduta positiva sul negozio fisico che avrà una pubblicità globale che si auto-finanzia sul web e se i vostri clienti “fisici” parleranno bene del vostro negozio “reale” può succedere che i loro amici e familiari che abitano lontano sceglieranno di acquistare “a distanza” quei prodotti dal vostro sito, proprio perchè invogliati da questi giudizi positivi.

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