Viviamo in un’epoca in cui molti di noi si ritrovano ad avere componenti elettroniche inserite anche all’interno degli occhiali, e ovunque volgiamo lo sguardo vedremo qualcosa che funziona grazie ai microchip. Ma c’è un problema: così come i prodotti cui danno vita, anche gli stessi microchip – come qualsiasi altro componente di una catena di montaggio – devono essere costruiti, necessitano di materie prime e devono essere trasportati da una parte all’altra del mondo per essere assemblati, e se un solo ingranaggio delle fasi di produzione si inceppa, c’è il serio rischio che l’intera filiera industriale del pianeta ne risenta… ed è proprio ciò che sta accadendo in questo momento.
La crisi nella crisi.
Su tutti i giornali in questi giorni campeggiano le solite drammatiche notizie sul Covid-19, quelle che parlano di calcio con Superlega e Inter Campione d’Italia, Fedez vs Rai e poi, più nascosta, andando a cercare all’interno delle rubriche di tecnologia o di economia, troviamo una notizia che è più seria e degna di attenzione di quanto potremmo aspettarci: il mercato mondiale dei microchip e dei semiconduttori è in crisi.
Ebbene sì, anche a causa delle chiusure imposte in tutto il mondo per contenere la diffusione dell’epedemia, le aziende che producono microchip e semiconduttori, concentrate soprattutto in Cina, Corea del Sud e, soprattutto, Taiwan, hanno dovuto temporaneamente chiudere i battenti oppure si sono trovate a corto di materie prime (il silicio su tutte) poichè, a loro volta, i siti di estrazione e lavorazione delle stesse hanno subito chiusure e rallentamenti. Ciò, di conseguenza, ha causato l’impossibilità per le aziende produttrici di componenti elettroniche di rispettare i tempi delle consegne degli ordini pregressi e, in un inevitabile effetto a catena, anche le aziende clienti hanno dovuto rallentare se non fermare completamente gli impianti.
E’ proprio di ieri, ad esempio, la notizia che lo stabilimento FIAT di Melfi verrà chiuso per una settimana e i 7.000 dipendenti posti in cassa integrazione, proprio per la mancata consegna degli indispensabili componenti elettronici da installare nelle autovetture e, sempre ieri, il CEO di Volkswagen ha affermato che la crisi durerà almeno fino al prossimo inverno.
Ovviamente, questa crisi non colpisce soltanto il settore dell’auto ma tutti le aziende che hanno a che fare con l’elettronica: quelle informatiche, i produttori di TV e cellulari, di elettrodomestici, di giocattoli, di strumenti musicali, di smartclothes, industria aerospaziale, ecc. ecc..
Crisi&consumi.
Ciò non è dovuto soltanto al blocco o rallentamento delle varie industrie interessate alla lavorazione del silicio ma anche all’impennata della richiesta di beni informatici: si pensi al lavoro da casa (no, noi non lo chiamiamo “smart working” perchè è un anglicismo inventato da noi italiani… ma questa è un’altra storia) a cui nell’ultimo anno si è fatto ricorso in una maniera mai vista prima (e che probabilmente mai più si rivedrà) che ha dato vita ad una massiva richiesta di nuovi PC e tablet; si pensi ai vari incentivi economici che soprattutto i governi occidentali, hanno promosso per rinnovare automobili, elettrodomestici e attrezzature elettroniche varie per dare una scossa all’economia altrimenti ferma; si pensi all’impennata di acquisti su prodotti come bici e monopattini elettrici fino a pochi mesi fa considerati beni di nicchia.
Va da sé che per le semplici regole della domanda e dell’offerta, l’industria elettronica si trova in una pericolosa fase di stallo: la domanda cresce esponenzialmente mentre la produzione si ferma. Quali saranno le conseguenze di tutto ciò?
Ebbene, com’è facilmente intuibile, a farne le spese saranno gli utenti finali che probabilmente assisteranno ad un considerevole aumento dei prezzi dei beni più richiesti. Questo non è dovuto tanto all’impennata dei costi di materie prime e semilavorati (di silicio ce n’è in abbondanza – è il secondo componente più presente sulla crosta terrestre dopo l’ossigeno, basta tornare ad estrarlo – e, come possiamo vedere da questo link, i prezzi dei microchip fatti e finiti sono quasi irrisori, tanto che, anche decuplicandone il prezzo per via della scarsa disponibilità, l’effetto sul costo di un’autovettura o di un elettrodomestico non sarà particolarmente incisivo) ma al fatto che, bloccandosi la produzione, il prezzo dei prodotti finiti ancora nei magazzini potrà subire un’impennata considerevole proprio in virtù dell’alta domanda che si avrà degli stessi e non tanto per il loro costo di produzione.
Crisi&lavoro.
Ma gli annessi&connessi della vicenda non finiscono qui: essendo le aziende già in ritardo di mesi nell’evadere ordini già perfezionati, ciò inciderà anche sulle strategie di mercato precedentemente pianificate delle stesse. Dovendo ancora produrre, distribuire e vendere beni di questa stagione di mercato, probabilmente molte aziende fermeranno temporaneamente i loro reparti dedicati alla ricerca, allo sviluppo e al restyling dei prodotti da mettere in commercio nei prossimi anni, con una conseguente ricaduta sul mondo del lavoro e sui bilanci delle nazioni che verranno gravate da ulteriori richieste di cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali.
Varie aziende e nazioni occidentali stanno cercando di porre rimedio al problema affrettandosi ad aprire o riconvertire stabilimenti per produrre in loco microchip e sopperire alle mancate consegne dall’Oriente. Ma questa operazione richiederà tempo e quando in Asia i livelli di produzione torneranno a regime – con la forza dei loro prezzi più basi e dello know-how accumulato negli anni – cosa ne sarà di questi nuovi stabilimenti/macchinari e dei loro dipendenti?
Insomma, la crisi di un componente industriale così piccolo ed economico, qual è il microchip, rischia di aggravare dal punto di vista economico quella che già è un’epoca che, a causa della pandemia da Covid-19, sta già vivendo una tempesta perfetta che sta scardinando le sempre più fragili certezze dell’uomo moderno.