A meno che tu non abbia vissuto su Marte negli ultimi due anni (il che, per inciso, avendone la possibilità, potrebbe essere per certi versi un’idea quasi interessante), ti sarai sicuramente fatto un’opinione sul mondo degli NFT e delle criptovalute, cercando di capirne il valore, il funzionamento e la base fondata sulla citatissima blockchain. Sia NFT che bitcoin e affini, infatti, si basano sulla tecnologia blockchain, il “libro mastro” in cui vengono salvate le varie transazioni in modo irreversibile, sicuro e non modificabile.
Per essere estremamente chiari, a questo punto, c’è un aspetto che convince poco e piace ancora meno ai più, soprattutto se sensibili (come si dovrebbe) alle tematiche ambientaliste: si stima infatti che Bitcoin – la blockchain più popolare ad oggi, probabilmente – utilizzi quasi la metà dell’energia mondiale, la stessa che consuma ordinariamente un paese come la Finlandia. In un momento di crisi geopolitica profonda come quella che stiamo vivendo, ovviamente, tutto ciò assume i contorni della più assoluta futilità, tanto da farci ritenere che sarebbe il caso di dismettere tutto questo lavorìo e consumo energetico e pensare di nuovo all’essenziale.
Ma se danneggiano così tanto l’ambiente, perchè non dismettere tutte le blockchain?
Ora, a parte il fatto che dismettere una blockchain non è così semplice dato che, per sua stessa definizione, è “quasi” indistruttibile per lo stesso motivo per cui è quasi impossibile da corrompere, falsificare e non esiste, se vogliamo, un vero e proprio “interruttore” da premere per spegnerla – vale la pena di fare qualche osservazione sensata sull’argomento, dato che abbiamo più volte discusso il tema nel nostro piccolo blog e, come dire, è venuto il momento di confrontarsi quantomeno seriamente. Se siete ostili alla tecnologia, in sostanza, vi proporrei di provare a dimenticare ciò che pensate solo per qualche istante: la vostra opinione non andrà via e non ho intenzione di rubarvela, ci mancherebbe altro. A fine post, per intenderci, ve la potrete riprendere e, solo se vi va, rivalutarla di conseguenza.
Ad impedirvi di dismettere le blockchain, di fatto, vi sarà qualcosa di poco ovvio, qualcosa in più dell’interesse economico di qualche riccone: vi è proprio un limite intrinseco della tecnologia, molto simile a quello che impedisce (se non per zone geografiche limitate, come purtroppo sappiamo) di censurare internet in varie parti del mondo.
Dalla blockchain al danno per l’ambiente
Partiamo dalla definizione di blockchain: puoi pensare alla blockchain come ad un un database decentralizzato e distribuito su vari computer, che memorizza dati in forma di transazioni (che possono essere scambi di moneta come firme di contratti, ad esempio). Le blockchain sono dannose per l’ambiente è una domanda importante che non merita risposte evasive, superficiali o grossolane, ma richiede un minimo di ragionamento su cosa comporta, nello specifico, salvare una qualsiasi di quelle transazioni su cui si basa il loro funzionamento.
Tutto nasce nel momento in cui il Crypto Carbon Ratings Institute pubblica la notizia che Bitcoin utilizzerebbe l’incredibile cifra di 17,2 megawattora di energia per finalizzare una singola transazione. Un dato sicuramente considerevole (per non dire allarmante) surrogato da una API a supporto, documentata su GitHub, che permette di eseguire un calcolo del genere per qualsiasi criptovaluta. Quel calcolo è altamente specifico della blockchain di Bitcoin: Ethereum, ad esempio, sembra consumare un po’ meno, ancora troppo per gli standard in cui viviamo, e si è dimostrata sensibile al tema tanto da rivedere la propria tecnologia per renderla più efficente dal punto di vista energetico.
L’esempio virtuoso di Ethereum e Solana
Se una ricerca su Google sembra consumare l’equivalente di 0,3 Wh, la blockchain di criptovalute come Solana ne consumano poco più della metà. Quando si fanno certi calcoli, in sostanza, bisognerebbe sempre chiarire di che cosa parliamo. Solana, di fatto, per fare una singola transazione costa molto, molto meno di Bitcoin, ma è anche vero che possiede un valore altrettanto più basso: 1 Solana vale circa 80€, al momento in cui scriviamo, mentre 1 BTC ne vale circa 37 mila. Di fatto, affermare a priori che le blockchain consumano troppo è come dire che i dipendenti di Amazon guadagnano troppo: la domanda da farsi è “a chi ci riferiamo”, perchè un conto è il CEO e uno è l’ultimo dei magazzinieri.
Chiaro, l’uso eccessivo di energia di Bitcoin è un enorme problema, soprattutto perché le criptovalute sono di natura autogenerativa e, per quanto sia sempre più difficile fare mining su un progetto del genere, i detentori del capitale non hanno alcun ragionevole interesse a ridurre l’impatto ambientale dello stesso. Anche perchè, di fatto, il problema potrebbe non essere affrontabile da un punto di vista tecnico: se alla base del mining, infatti, vi è la risoluzione di una specie di “puzzle” informatici con cui essere ricompensati con una fee per averlo fatto, ridurre l’impatto ambientale e lasciare utilizzabile la tecnologia potrebbe, di fatto, non essere proprio all’ordine del giorno.
Ma come qualcuno che sta valutando se Solana, ad esempio, potrebbe essere utile per risolvere problemi reali nel mondo, i costi energetici di Bitcoin sono irrilevanti. I due potrebbero provenire dallo stesso antenato, ma sono mondi a parte. Chiaro che le blockchain non sono necessariamente cattive, ciò non finirà certo per renderle buone: il punto, probabilmente, potrebbe essere insito nel fatto che è sbagliato giudicare eticamente una qualsiasi tecnologia, se non in relazione all’uso che si decide di farne. Se bitcoin non è certamente la moneta più virtuosa al mondo in termini ambientali, potrebbe costruirsi un’alternativa sostenibile che potrebbe, di fatto, essere una delle criptovalute citate. L’impatto ambientale eccessivo potrebbe essere anche legato, a mio avviso, al fatto che il suo valore non sembri crescere più come prima, rimanendo arenato in un’area che potrebbe decretarne lo stallo ancora per un po’. Se è per quello, anche le auto che prendiamo tutti i giorni inquinano, almeno fin quando non saremo convinti dell’adozione delle macchine elettriche a pieno regime. Ed è qui che bisognerebbe fermarsi a riflettere un po’, non tanto sull’assodata indispensabilità della tecnologia quanto al fatto che usiamo l’auto sia per andarci a fare un futile aperitivo che per accompagnare un nostro caro in ospedale. La tecnologia vive sempre su ciò che decidiamo di farne, per quanto una forma di grottesco “animismo” suggerisca che esistano tecnologie buone e cattive in assoluto.
I problemi della società globalizzata in cui viviamo, di fatto, riguardano molto spesso squilibri egoistici effettivamente sulla falsariga dell’uso sconsiderato di blockchain poco “ecologiche” come quelle di BTC: ma l’analisi non può ridursi a concludere che basti l’iconoclastia per risolvere il tutto. Distruggere ciò che ci mette in pericolo, come si è visto negli ultimi anni, potrebbe non bastare: ed è lì che dovremo lavorare per trovare nuovi compromessi di vivibilità, nell’ottica del bene comune.
(liberamente ispirato alla lettura di Blockchains will maybe not destroy the planet di zeptonaut.com)