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Reddito di cittadinanza: la privacy dei nostri conti correnti è a rischio?



La proposta del reddito di cittadinanza, fortemente voluta dal governo 5 stelle, è arrivata finalmente all’approvazione: sono stati stanziati, a riguardo, ben 7,1 miliardi per l’anno 2019 (con data di partenza delle attività a partire da aprile di quest’anno). In questi termini il Garante per la Privacy ha pubblicamente espresso delle “rilevanti criticità” in merito, dato che da un lato sarà necessario fornire dati personali delle famiglie e delle persone richiedenti, e dall’altro lo stato potrebbe avere necessità di effettuare dei controlli a chi lo richiede, in modo da evitare potenziali abusi. Se è vero che i Caf comunicheranno all’INPS i dati dell’ISEE, significa che l’ente verrà a conoscenza della situazione patrimoniale del cittadino in esame, e potrebbe sorvegliarlo in modo illecito a distanza.

La principale criticità sembra essere legata alle modalità con cui questi controlli dovrebbero essere effettuati: per quanto ne sappiamo, la card del reddito di cittadinanza (equivalente ad una comune PostePay emessa da Poste Italiane) sarà soggetta a monitoraggio delle spese, in particolare con il divieto di spendere le somme per giochi che prevedano la vincita di denaro (ludopatia). La funzione di controllo è di fatto demandata direttamente agli operatori dei centri per l’impiego e dei servizi comunali, che dovranno controllare le spese degli aventi diritto e rilevare eventuali anomalie. Un ruolo piuttosto impegnativo e scottante, se vogliamo, per cui probabilmente gli stessi potrebbero non essere (almeno nella media dei casi) adeguati o preparati.



Chi volesse aggirare i controlli del resto potrebbe sfruttare le medesime procedure che vengono usate da chi evade il fisco, ad esempio, spostando il denaro su altre carte prepagate (ad esempio quelle anonime) ed utilizzandole quindi in modo illecito rispetto a quanto previsto. Può un impiegato comunale o un operatore effettuare questo controllo senza violare la privacy e senza, ad esempio, decidere ad arbitrio che un controllo non debba essere fatto (ad esempio se conoscesse direttamente la persona monitorata)? L’attività di monitoraggio è per sua natura soggetta all’esposizione di vari tipi di dati sensibili, non soltanto finanziari ma anche patrimoniali e strettamente personali: sarebbe quindi necessario individuare dei criteri precisi (cosa che non sembra essere stata fatta) che siano equi. Il Garante teme che il tutto possa trasformarsi in una sorveglianza dei cittadini su larga scala, tradotta in termini di “un’intrusione sproporzionata e ingiustificata su ogni aspetto della vita privata degli interessati”.

Monitorare i conti correnti dei cittadini, del resto, è un’operazione che dovrebbe essere autorizzata dalle rispettive banche a ragion veduta, e che si affida alla discrezione della banca di turno – ponendo così il cittadino in una condizione piuttosto incerta, lato privacy. Se a qualcuno venisse in mente di sentirsi comunque tranquillo dato che non ha nulla da nascondere, sarebbe il caso di far notare che la sorveglianza su larga scala non è affatto legata alla presunzione di reato, e che senza regole ferree su come effettuare i controlli gli abusi e le violazioni potrebbero diventare all’ordine del giorno. Il monitoraggio dei conti correnti, del resto, tende a essere utilizzato per la prevenzione e la rilevazione di spese non consentite dal reddito di cittadinanza stesso, e potrebbe essere difficile (o addirittura impossibile) controllare nel dettaglio ogni singolo conto in tal senso.

Anche le normative europee in merito (il GDPR di cui tanto si è discusso negli scorsi mesi) invitano a tutelare la privacy ed i dati sensibili dei cittadini, e pensare di agire liberamente sulla base di una presunzione di reato (come la possibilità che uno spenda in modo frivolo, se vogliamo, quanto guadagna dal reddito) sembra essere contraria a quella dello stato di diritto e delle libertà individuali di ognuno.

L’agenzia delle entrate, per quanto ne sappiamo, dovrà lavorare attivamente assieme a INPS e Guardia di Finanza, in modo da incrociare le informazioni contenute nelle banche dati di ognuno e rilevare eventuali abusi: perchè questo è ovviamente importante, ma alla lunga andrebbe anche tutelata, se possibile dall’inizio, la privacy dei singoli cittadini che ne fanno uso in modo lecito. Stiamo arrivando al controllo di massa per via di una semplice “presunzione di reato”? Si spera, a questo punto, che non vada a profilarsi uno scenario degno di Orwell.

(fonte, fonte)

 

 

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