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Recensione film: The wolf of Wall Street (M. Scorsese, 2013)



Questo bio-picture è la storia del broker di Wall Street Jordan Belfort, biologo figlio di commercialisti, il quale decise di lavorare nel mondo della finanza iniziando a farlo presso la L.F. Rothschild (fino al crollo del 1987). Scorsese racconta, con i toni del bio-pic e del cinema verità (ed affidando la parte del protagonista a Leonardo Di Caprio) la storia del proprio successo, dell’ascesa nel mondo della finanza e della successiva caduta, dovuta ad una serie di eccessi: fin da quando aveva fondato la società di brokeraggio Stratton Oakmont, Belfort mostra un’insana passione per i guadagni sconsiderati, che gli permettono di accedere al corpo di qualsiasi donna e a provare ogni genere di droga. Un film estremo, almeno in parte romanzato e che rende l’idea di come doveva essere il mondo del trading in un periodo in cui le trattative venivano fatto esclusivamente via telefono, senza internet.

Le penny stock sono alla base dell’iniziale successo di Belfort, azioni dal valore bassissimo create da piccole società e dalle prospettive di crescita quantomeno dubbio, riuscendo a venderle a prezzi esorbitanti ingannando, di fatto, gli investitori; per questo venne arrestato in seguito, e condannato a diversi mesi di carcere (oltre a dover risarcire tutti). La vita di Belfort, personaggio dal forte carisma, dotato dell’insana capacità di vendere qualsiasi cosa, instaura una relazione con altri personaggi (nel film descritti come diseredati, spacciatori e delinquenti locali) e fonda questa società di brokeraggio, con cui organizza spesso e volentieri festini a base di droghe (cocaina e metaqualone) e tanti, tantissimi soldi.



L’occhio di Scorsese è cinico, cerca di filmare una realtà per ciò che conosciamo essere stata (in base al libro Il lupo di Wall Street, scritto da Belfort stesso), senza mai indugiare troppo sugli eccessi ma mostrando le scene in modo festoso, esaltante e quasi felliniano. L’effetto spesso ironico o umoristico, secondo il regista, non è voluto ma fa parte di un meccanismo di difesa che dovrebbe sbucare fuori in automatico nel vedere il film. Scorsese ha anche invitato gli attori ad improvvisare parecchio (e si nota), e poi lega il film a numerosi aneddoti curiosi: la cocaina simulata mediante vitamina B polverizzata (che causò qualche problema di salute a Jonah Hill), la parola “fuck” che ricorre ossessivamente ben 569 volte (neanche fossimo in un film di Tarantino: The wolf of Wall Street si beccò una classificazione R-Rated da parte della censura), il ban da 5 paesi per via delle scene di sesso, una conturbante Margot Robbie coinvolta in più scene hot (incluso un nudo integrale, concordato in piena autonomia per immedesimarsi al meglio, perchè per il suo personaggio il suo corpo era considerato una forma di moneta, her body is her only form of currency in this world), lo stesso Di Caprio che affermò di essersi ispirato al controverso film Io, Caligola di Tinto Brass e Bob Guccione per evocare quella stessa atmosfera decadente.

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